sabato 5 marzo 2011

l'esperto di smaltimento rifiuti (e d'altre razionalità d'interesse pratico) Guido Viale, ieri sul Manifesto, appariva con un lungo (come al solito) articolo sulla "dignità": come trampolino per un riavvio della lotta di massa in Italia contro il liberalismo economico, da un po' di anni detto, forse per risparmiare inchiostro e tempo, "liberismo", o, suggestivamente, "pensiero unico". Trattasi com'è ovvio del capitalismo, questa è la verità. Il cosiddetto liberismo, secondo Viale, danneggerebbe non soltanto le persone che da esso vengono spremute, ma anche la loro "dignità", e non si può non essere d'accordo con quest'idea. Ma la "dignità" sfortunatamente è un concetto troppo astratto e trasversale per poter costituire un trampolino di massa della lotta anticapitalistica (non soltanto antiberlusconiana, come giustamente sottolinea Viale). Chiunque può essere (o sentirsi) ferito nella sua "dignità", perfino lo stesso cosiddetto premier, perfino un calciatore milionario messo "fuori rosa" dall'allenatore, perfino un prete accusato di "pedofilia", perfino un direttore di giornale sospeso dall'Ordine, perfino una cosiddetta stella della tv messa in soffitta.
La "dignità" appartiene ad una dimensione troppo personale e in definitiva psicologica per poter costituire un trampolino organizzativo o un oggetto di rivendicazione utile al rovesciamento dello stato di cose presente. Non ci siamo proprio.

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