venerdì 8 aprile 2011

L'ultima morte collettiva (in ordine di tempo) avvenuta nel canale di Sicilia interroga tutti, noi che abitiamo in Europa e siamo abituati a contare i morti e feriti che ci riguardano da vicino con la massima precisione mentre non contiamo i morti e feriti che appartengono all'altro continente; e interroga i migranti, che contano sulla fortuna in modo indiscutibilmente eccessivo, o forse sono spinti da una forza migratoria che trascende il loro attaccamento alla vita, esponendoli a rischi pazzeschi. Ieri sul Manifesto una certa Anna Maria Rivera, commentando i fatti, ha usato, per indicare una delle cause dell'avventurismo cieco (queste com'è naturale sono parole nostre) di molti migranti, il concetto di "proibizionismo". Le leggi che regolano l'immigrazione in Eurpa di fatto la rendono quasi impossibile, quindi sono leggi "proibizionistiche". In effetti sappiamo che il proibizionismo in fatto di alcolici (Usa, novanta anni fa) e in fatto di altre sostanze "psicoattive", cioè le leggi che rendono quasi impossibile far uso di tali sostenze, genera (generano) disastri. La vita in Europa, nella metafora di Anna Maria Rivera, è la "sostanza psicoattiva" proibita e quindi assai desiderata, non importa che i rischi di morire per ottenerla siano alti, da migliaia di africani. Va bene, può darsi, allora è necessario "ridurre il danno", cambiare le leggi che regolano l'immigrazione, legalizzare i passaggi per mare rendendoli sicuri, e così via. Senza dimenticare però che i "drogati" devono essere considerati corresponsabili del "danno".

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