mercoledì 24 ottobre 2012

Il PD, reso cauto da passate esperienze di "esproprio" ai danni di suoi candidati da parte di "masse" sostenitrici di candidati differenti (è accaduto a Milano, a Napoli, ed anni or sono a Firenze, quando le "masse" tolsero la candidatura di partito a Michele Ventura, un anziano ex "comunista", e promossero l'ex democristiano Matteo Renzi - bel capolavoro!), ha previsto un registro dei votanti con firma di un "appello" per il "centrosinistra"; certo per tentare di ridurre il fenomeno di partecipanti alle primarie PD magari di destra, o di centro, o di nulla - soltanto pagati, chissà: è accaduto a Milano che per elezioni vere siano stati erogati 50 euro a voto (PDL); e probabilmente per scambiare questa "cessione di sovranità" partitica (così Bersani) con qualcosa di più di un voto a scappa e fuggi.
Renzi non è d'accordo con questa misura minima di garanzia e di partecipazione, ed ha fatto ricorso contro il suo partito al cosiddetto garante della privacy (significa riservatezza), perché ritiene che il registro-appello la violi.
Ma come? Uno partecipa alle primarie del "suo" partito per esprimere la sua preferenza, e dovrebbe aver timore di figurare con nome e cognome in un elenco? Mica lo obbligano a votare PD, il giorno delle vere elezioni! E' come quando si firma per qualcosa, no? Ci si mette il nome e cognome e il numero del documento identificativo. Vale contro la vivisezione come per il "centrosinistra".
Renzi avrebbe detto, durante una delle sue allocuzioni, di avere il 40% degli elettori con sé, mentre Bersani ne ha soltanto il 25% (quest'ultima percentuale corrisponde più o meno ai sondaggi). Questa differenza del 15% forse è fatta, domandiamo, dai cosiddetti renziani con la fregola della riservatezza?

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